L'80 per cento degli italiani è destinato a soffrire di mal di schiena. Il 15-20 per cento ricorre alle cure mediche. La lombalgia, uno dei disturbi osteoarticolari più diffusi, interessa in misura uguale uomini e donne, di età compresa tra i 30 e i 50 anni. Non basta. È anche la più frequente causa di disabilità per le persone sotto i 45 anni. Il costo sociale? Altissimo. Basti pensare alle spese per la diagnostica, il trattamento, la ridotta produttività, la diminuita capacità di svolgere attività quotidiane.
I dati sono stati presentati oggi a Tirrenia (Pisa) in apertura del Congresso nazionale dell'Aifi, Associazione italiana fisioterapisti, l'organizzazione più rappresentativa del settore, con 10mila soci. E sono il frutto di un progetto di ricerca del ministero della Salute che ha visto riuniti attorno a un tavolo gli esperti delle principali società scientifiche del settore, con lo scopo di creare le linee guide per la diagnosi e la cura del mal di schiena in Italia. "Per dare risposte competenti alle richieste di salute del paziente, è necessaria sempre di più una forte specializzazione – spiega il presidente dell'Aifi Vincenzo Manigrasso. – È per questo che abbiamo organizzato l'evento scientifico odierno incentrandolo sul tema 'Fisioterapista e case management: dalla valutazione al programma riabilitativo'".
Cinque le sessioni parallele accreditate, sugli ambiti più rilevanti della riabilitazione, a cui hanno preso parte 400 fisioterapisti da tutta Italia: terapia manuale, fisioterapia pediatrica, riabilitazione cardiorespiratoria, dell'arto superiore e della mano, oncologica. Tra i temi trattati al congresso Aifi, la protesi del gomito, una chirurgia nata nell'80 negli Stati Uniti e usata nella cura dell'artrite reumatoide (il paziente trova sollievo del dolore e recupero dell'articolarità): poiché è ancora poco diffusa in Italia e la letteratura è scarsa, per poterla trattare i fisioterapisti hanno bisogno di una preparazione specifica. E la riabilitazione oncologica, che si prende cura della persona per supportarla nel suo percorso di vita, migliorandone la qualità: anche negli istituti di eccellenza oncologici mancano strutture dedicate. Ma è lo stesso paziente che invece chiede questo tipo di prestazioni.