In occasione della Giornata Mondiale della Prematurità del 17 novembre, il GIS Fisioterapia Pediatrica AIFI su proposta della presidente Loretta Carturan ha curato un’intervista esclusiva a Monica Ceccatelli.
Intervistata dalla fisioterapista Claudia Artese della TIN dell’Ospedale Careggi di Firenze, Ceccatelli è una figura di riferimento a livello nazionale per i professionisti e i genitori delle TIN – Terapia Intensiva Neonatale – in Italia, da sempre impegnata nel sostegno ai genitori e nello sviluppo di politiche di supporto in questo ambito: presidente dell’Associazione dei genitori “Piccino Picciò” attiva nella TIN dell’Ospedale Careggi e del Meyer e del Torregalli di Prato, Monica Ceccatelli è inoltre coordinatrice e vicepresidente dell’associazione “Vivere”, coordinamento nazionale delle associazioni dei genitori, ed è membro del direttivo del gruppo di studio della “Care”.
Quest’anno, il 2 giugno, hai ricevuto l’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana durante la cerimonia della Festa della Repubblica a Firenze. È stata una sorpresa per te?
Sì, in effetti sì. È stata veramente una sorpresa. Non me l’aspettavo. Sono sempre convinta di non meritarlo, ma è stata una cosa assolutamente inaspettata. Perché mai avrei pensato a ad un qualcosa di simile.
Parliamo un po’ del tuo percorso, che è stato lungo e motivato da una dedizione continua. Tutti noi conosciamo il tuo impegno a fianco delle famiglie e del personale delle TIN in Italia. Ma cosa ti ha spinto, 28 anni fa, a creare l’associazione Piccino Picciò, dedicata ai genitori dei bambini nati prematuri?
Tutto è nato dalla volontà di colmare un vuoto. La mia esperienza personale in TIN è stata la spinta iniziale. All’epoca c’erano poche risorse a disposizione dei genitori e, in quel contesto, è emersa l’idea di creare un gruppo di supporto. Mi trovavo in una situazione in cui non esistevano quasi servizi per i genitori, anche se in altri reparti, come sapevo, c’era già la possibilità di accedere alla TIN 24 ore su 24.
Quello che ci ha uniti e spinti a fare la differenza è stata la condivisione di un’esperienza forte, insieme agli operatori. Nella terapia intensiva neonatale di Viareggio, dove sono stata mamma di un neonato prematuro, l’accesso era consentito solo da pochi mesi, ma solo per un’ora e mezza al giorno e mezz’ora la sera. Stavamo tutti in piedi, stretti, sei incubatrici per sei genitori, e potevamo entrare uno alla volta; in caso contrario, si attendeva nel corridoio, dove le conversazioni tra genitori servivano per alleviare un po’ di ansia e angoscia. C’era solidarietà, ognuno asciugava le lacrime dell’altro, consapevoli che, purtroppo, non tutti avrebbero avuto un esito positivo.
L’ambiente non era certamente accogliente: un solo divanetto, donato da una banca e chiaramente recuperato da una sala d’attesa, che di certo non rispondeva ai bisogni di madri che avevano appena affrontato un cesareo. Eppure, da quel poco, è nato qualcosa di grande. Insieme agli operatori, che conoscevano altre realtà e avevano idee su come migliorare, abbiamo creato uno spazio di condivisione e supporto.
Sono ancora qui perché questo impegno è diventato una passione. Si è creata una profonda collaborazione con persone che oggi sono parte integrante non solo di questa avventura, ma della mia vita. E quel senso di solidarietà che c’era tra noi genitori ha fatto nascere il desiderio di cambiare le cose, un desiderio che mi guida ancora oggi.
Cosa pensi sia migliorato negli anni in Italia per quanto riguarda il sostegno ai genitori nelle TIN?
Chi mi conosce sa che sono sempre insoddisfatta perché, anche se oggi solo il 60% delle TIN sono aperte 24 ore su 24, questo non è abbastanza. Aprire le porte, infatti, non è un semplice atto fisico; richiede una preparazione e, prima di tutto, un’apertura mentale. È un po’ come la nascita di un bambino: serve spazio fisico, ma anche spazio mentale per accogliere genitori, operatori e il bambino come un’unica comunità. Purtroppo, questo “spazio mentale” spesso manca, e anche quando le porte si aprono, ci sono mille ostacoli.
Non riesco a sentirmi soddisfatta, perché ci sono ancora tanti genitori che si rivolgono a noi, tramite social o internet, raccontando la loro frustrazione per non poter stare accanto al proprio bambino, una presenza supportata anche dalla scienza. La pandemia ha poi rappresentato un grave passo indietro: chi già non permetteva l’accesso ha continuato a tenerlo chiuso, mentre chi desiderava garantire la presenza dei genitori ha dovuto lottare per ripristinarla.
Oggi, molte TIN sono ancora chiuse, e io dico sempre che non potrò essere soddisfatta finché ci saranno mamme in lacrime perché non possono stare con i loro bambini o papà che non possono accompagnare la mamma in terapia intensiva. Il mio obiettivo resta il 100% delle TIN aperte.
In Italia siamo ancora un po’ indietro rispetto ad altre nazioni per quanto riguarda il supporto ai genitori dei bambini prematuri, ad esempio per quanto riguarda la possibilità di dormire in ospedale o accedere alla mensa. Come vicepresidente di “Vivere”, ci puoi parlare delle collaborazioni e iniziative più recenti dell’associazione?
Non ci sono novità particolari, ma c’è stato un consolidamento della collaborazione con la SIN (Società Italiana di Neonatologia), soprattutto durante la pandemia. Abbiamo tradotto e adattato standard europei per il contesto italiano, ora disponibili online sui siti di SIN e “VIVERE”. Questo lavoro, svolto gratuitamente da molti professionisti, è stato un’esperienza preziosa e stimolante.
Sempre in collaborazione con “Vivere”, sono stati realizzati libretti come “Il neonato Ci parla” e “Possiamo sentirci”, insieme a linee guida per la Kangaroo Mother Care, approvate dalla SIN. Pensando ai genitori, quali sono gli ostacoli maggiori che riscontrano? E come li affrontate, specialmente nella comunicazione di “bad news”?
Il primo ostacolo è il linguaggio specialistico, che i genitori spesso faticano a comprendere, soprattutto per le “bad news”. Per questo, abbiamo pubblicato materiale informativo in un linguaggio semplice, senza tecnicismi. La comunicazione può essere difficile, così come ottenere accesso a tutte le cure, come la Kangaroo Care, quando mancano personale e spazio. La preoccupazione per il futuro e il rientro a casa da soli aumenta le ansie dei genitori, già privati del supporto della TIN.
Come è stata la tua esperienza personale con i fisioterapisti? Hai notato differenze quando erano presenti e quando non lo erano?
Sì, la differenza è stata evidente. I fisioterapisti danno supporto prezioso, come indicazioni sulla postura del neonato e facilitazioni per l’allattamento. Anche se non sono gli unici professionisti coinvolti, il loro contributo è fondamentale per mettere il bambino e la sua famiglia al centro delle cure.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
I progetti sono tanti, ma il più importante è quello di avere fondamenta solide: per costruire una casa servono tutti gli operai e materiali adatti. Il bambino è la base e va osservato e ascoltato, come ci insegnava la ALS anni fa, che diceva che il cambiamento deve partire dall’interno della TIN, con i genitori e il bambino al centro. Il mio sogno è vedere tutte le TIN aperte e applicare pienamente la Carta dei Diritti del prematuro.
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