Di Silvia Bargeri e Valentina Redaelli
Il 22 aprile, in occasione della Giornata Internazionale della Salute della Donna, è fondamentale riportare al centro del dibattito il tema della salute femminile, anche all’interno della Scienza di Fisioterapia.
Le donne in Italia vivono più a lungo degli uomini (85,2 anni contro 81,1), ma in condizioni di salute spesso peggiori: la speranza di vita in buona salute si ferma a 57,9 anni per le donne, contro i 60,5 anni degli uomini. Questo significa che oltre un quarto della loro vita viene vissuto con problemi di salute, spesso cronici, nonostante le donne tendano ad adottare comportamenti più salutari, come un consumo inferiore di alcol e tabacco e un’alimentazione generalmente più equilibrata.
Secondo i dati ISTAT, emerge una discrepanza significativa nella percezione del proprio stato di salute: il 73,4% degli uomini si definisce in buona o ottima salute, contro solo il 65,7% delle donne.
Anche in ambito riabilitativo, nonostante una simile prevalenza di condizioni cliniche trattabili con la fisioterapia, le donne registrano un numero più elevato di anni vissuti con disabilità (YLD): 163 milioni contro i 146 milioni degli uomini (Cieza et al., 2020). Tra le condizioni più comuni che beneficiano di riabilitazione, i disturbi muscoloscheletrici, come artrite reumatoide, artrosi, lombalgia e cervicalgia rappresentano una delle principali cause di carico di malattia a livello globale, con una prevalenza significativamente maggiore tra le donne (Liu et al., 2022).
Questa vulnerabilità non è solo biologica. Se da un lato esistono differenze legate al sesso (assetto ormonale, anatomia, predisposizione genetica), dall’altro i fattori di genere (come il ruolo sociale o le aspettative culturali) agiscono come importanti determinanti di salute. Ad esempio, l’appartenenza al genere femminile può tradursi in un carico maggiore di responsabilità familiari e di cura, che spesso ricade in modo sproporzionato sulle donne. Questo squilibrio può incidere negativamente sulla possibilità di accedere tempestivamente ai servizi sanitari, ai programmi di prevenzione e ai percorsi riabilitativi, limitando il tempo e le risorse che le donne possono dedicare alla propria salute.
Attività fisica: uno strumento ancora poco accessibile
L’attività fisica è riconosciuta a livello mondiale come uno strumento chiave nella prevenzione delle malattie croniche, e quindi fondamentale per la prevenzione anche in ambito riabilitativo. Tuttavia, le donne risultano sistematicamente meno attive degli uomini: in Italia, il 37,1% delle donne non pratica alcuna attività nel tempo libero, rispetto al 31,2% degli uomini. A livello globale, la disparità persiste: 31,7% delle donne contro 23,4% degli uomini sono insufficientemente attive (WHO, 2020).
Le ragioni sono complesse e stratificate: barriere culturali, carichi familiari squilibrati, insicurezza negli spazi pubblici, assenza di modelli femminili positivi nello sport e stereotipi di forza e performance che privilegiano l’universo maschile. A ciò si aggiunge la mancanza di una cultura dell’attività motoria rivolta in modo specifico alle donne, soprattutto nelle fasce d’età centrali e anziane, che spesso sono escluse da programmi strutturati e accessibili di esercizio fisico.
Benessere psicologico, sicurezza e accesso alle cure
Accanto ai fattori precedentemente menzionati, emerge una marcata vulnerabilità sul piano della salute mentale: le donne riportano livelli di benessere psicologico significativamente più bassi rispetto agli uomini, con un divario superiore ai 4 punti nell’indice di salute mentale (MH) dell’SF-36, con un importante impatto sulla qualità di vita.
A tutto questo si sommano le criticità legate alla sicurezza personale. Le donne, infatti, sono maggiormente esposte a fenomeni di violenza domestica, molestie e discriminazioni in ambito lavorativo. Nel solo 2023, in Italia sono stati registrati 117 femminicidi, una vera emergenza sociale e sanitaria. La violenza domestica, le molestie e le discriminazioni sul lavoro hanno effetti devastanti sulla salute mentale, sulla qualità della vita e sull’adesione a percorsi riabilitativi tempestivi ed efficaci.
Stereotipi nei percorsi di cura e fisioterapia
Numerosi studi evidenziano come le donne vengano frequentemente percepite come più emotive o fragili, mentre agli uomini siano attribuite caratteristiche come il coraggio e la resistenza stoica. Questi stereotipi di genere, radicati nella cultura e nei modelli di cura, possono generare effetti discriminanti nella pratica clinica. Le pazienti donne ricevono spesso indicazioni più caute e protettive (“non sforzarti troppo”, “fai attenzione”) rispetto che agli uomini, percepiti come più forti.
Questo approccio contribuisce a consolidare rappresentazioni stereotipate della fragilità femminile, ostacolando processi di empowerment e limitando il pieno coinvolgimento delle donne nel proprio percorso terapeutico.
Non solo: gli ausili riabilitativi (come carrozzine o ortesi) sono spesso progettati senza considerare l’identità di genere, ignorando la corporeità, la femminilità e il bisogno di sentirsi rappresentate nell’uso quotidiano di strumenti che diventano parte della vita.
Educazione, consapevolezza e impegno collettivo
Promuovere la salute femminile significa agire in modo trasversale e continuativo, sostenendo percorsi di empowerment e adottando politiche sanitarie efficaci e inclusive. È necessaria una responsabilità condivisa – da parte del mondo scientifico, delle istituzioni e della società – per costruire un futuro in cui ogni donna, indipendentemente dalla sua condizione, possa vivere più a lungo e in migliori condizioni, libera da barriere invisibili, pregiudizi e standardizzazioni nella cura.
In questo percorso, la formazione degli operatori sanitari rappresenta il primo snodo cruciale. È indispensabile inserire in modo stabile e sistematico la medicina di genere nei percorsi universitari e formativi, aggiornando costantemente le competenze cliniche per renderle capaci di cogliere e affrontare le differenze legate al genere, all’età, all’origine culturale e ad altri determinanti sociali. Serve un cambiamento di paradigma che adotti un approccio realmente intersezionale, in grado di superare i modelli apparentemente neutri che, nella realtà, riflettono una visione maschile della salute.
Anche la ricerca scientifica gioca un ruolo strategico in questo processo di trasformazione. È giunto il momento di superare definitivamente le prospettive androcentriche, abbracciando approcci capaci di rappresentare la complessità e la diversità delle esperienze individuali, restituendo piena visibilità alle donne e alle minoranze tuttora poco rappresentate negli studi clinici.
In parallelo, le associazioni tecnico-scientifiche possono contribuire concretamente alla diffusione di una cultura professionale più equa e consapevole, capace di rispondere in modo efficace e rispettoso ai bisogni concreti di ogni persona, nel rispetto della sua unicità.
La Giornata Internazionale della Salute della Donna non è soltanto una ricorrenza simbolica, ma un’occasione per ricordare che la salute non è neutra. Occorre un impegno condiviso – scientifico, istituzionale e culturale – per costruire un futuro in cui ogni donna, a prescindere dalla propria condizione, possa vivere più a lungo e meglio, libera da barriere invisibili e approcci standardizzati.
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- Istat 2024. Benessere e disuguaglianze in Italia
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