Il contenzioso medico-legale afferente all’ambito ortopedico e traumatologico, nei paesi europei maggiori (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia) e negli USA, ha assunto negli ultimi decenni un peso sempre meno trascurabile. Al di là delle differenze giuridiche, procedurali ed assicurative dei paesi in causa, il volume di risorse economiche sottratte all’assistenza, per far fronte ai risarcimenti o anche solo alle procedure messe in atto per definire le reali colpe delle strutture sanitarie e del personale medico e infermieristico, è senza dubbio cresciuto.
Nonostante i numeri lo confermino, la produzione scientifica ed epidemiologica nell’ambito in questione non è ancora così prolifica ed è per certi versi nebulosa nella definizione netta degli aspetti coinvolti.
1,2 miliardi di sterline pagati tra il 2009 e 2019 per 8548 sinistri relativi a chirurgia traumatologica e ortopedica nel Regno Unito è il dato più chiaro emerso. Rimborsi medi caratterizzati da estrema variabilità tra i diversi paesi: 42547 $ in Francia, 78533 $ nel Regno Unito, medie fino a 871093 $ negli U.S.A., secondo uno dei pochi lavori di revisione disponibili, sono espressione delle grandi differenze anche nella quantificazione monetaria del danno, in proporzione alle condizioni socio-economiche di ogni stato.
In Italia uno degli studi più aderenti all’argomento riporta un risarcimento totale di 12.350.000 dollari stabilito dal solo tribunale di Roma, a seguito dei 243 procedimenti inerenti procedure chirurgiche ortopediche e traumatologiche, tra gli anni 2004-2010, di cui il 75% conclusosi a favore dei ricorrenti. Un chirurgo ortopedico è esposto in media a 17 contenziosi nel corso della sua carriera. Secondo casistiche italiane l’88% dei chirurghi ortopedici under 45 e il 99% dei chirurghi oltre i 65 anni sono stati citati almeno 1 volta in giudizio durante la loro carriera.
L’ ortopedia è, nei paesi citati, entro le prime quattro specialità con il più alto tasso di sinistrosità. La chirurgia elettiva (soprattutto la chirurgia protesica di anca e ginocchio e la chirurgia vertebrale) è mediamente gravata da percentuali maggiori (55-60%) di ricorsi. L’errore procedurale e di gestione delle complicanze, in particolare infettive, e l’errore diagnostico,
soprattutto in termini di mancata diagnosi all’indagine radiografica, rappresentano le principali rivendicazioni dei pazienti; una percentuale minore è rivolta all’assistenza post-operatoria
infermieristica, alla riabilitazione, al follow-up ed al consenso informato.
Il numero così elevato di procedimenti non è certamente correlato ad una incapacità dei chirurghi, quanto piuttosto ad una maggiore consapevolezza della tutela della salute da parte dei cittadini europei ed americani e, purtroppo ad un maggiore tasso di litigiosità, basato per un verso sulla perdita di credibilità del medico agli occhi dei pazienti che ha interrotto un rapporto di fiducia, e per un altro verso sulla ricerca, talora pilotata, di realizzare un vantaggio economico. Il ricorso quindi ad una giurisprudenza fondata sulla E.B.M. era inevitabile in tutti i paesi al fine di ripristinare il contenzioso entro limiti ragionevoli e coerenti, a tutela tanto del paziente, quanto della serenità degli operatori.
È quanto mai attuale quindi proporre come focus l’errore in ambito procedurale e diagnostico, ben demarcando la complicanza derivata da malpractice da quella non prevenibile, e sottolineare gli aspetti medico-legali della corretta gestione clinica, corretta informazione del paziente e corretta compilazione della documentazione sanitaria. Non meno importante è migliorare la collaborazione tra chirurghi, personale infermieristico e personale dedicato al programma riabilitativo e recuperare lo stato di salute del paziente, che non si esaurisce con l’intervento.
La capacità di imparare dagli errori accrescendo le proprie conoscenze è la scelta etica più saggia per curare con competenza il paziente, recuperando il rapporto di fiducia, ed affrontare con serenità il proprio lavoro