Gentile Direttore,
la pronta, giusta e chiara sconfessione giunta dal responsabile sanità nella segreteria nazionale PD, On. Federico Gelli, della “boutade” della proposta di legge sul c.d. “atto medico” conferma molte interpretazioni di questo difficile momento della sanità italiana. È chiaro che, come spesso succede a noi Italiani, è la consapevolezza di non avere altre occasioni che ci spinge (finalmente!) all’azione. Il nostro sistema salute rischia, sotto il peso di 20 anni di costante de-finanziamento e nell’attuale contesto di una crisi economica da cui forse solo ora si comincia ad intravedere l’uscita, di scomparire, almeno nella versione che abbiamo voluto: universale, equa, accessibile.
Solo ripensando profondamente tutti gli aspetti del nostro fare salute possiamo tentare di continuare a rispondere al dettato costituzionale della tutela della salute come bene inalienabile del Cittadino, da parte dello Stato. E davvero da più parti si prova a farlo, anche con buoni risultati, che mostrano che – semplicemente – si può fare. Una delle linee di pensiero da questo punto di vista intravede – banalmente ma altrettanto logicamente – nella revisione delle modalità di risposta sanitaria una possibilità. La tutela della salute è ambito ad altissimo tasso di innovazione tecnologica ed in cui le conoscenze sono rinnovate, cambiate, confutate ad una velocità sicuramente superiore a quella che il sistema dell’offerta di salute possa leggere. Ma i sistemi organizzati sono fatti di persone ed in questo caso di professionisti, formati ad altissimo livello e che, per fortuna, rappresentano quasi sempre l’avanguardia del sistema che spinge per il cambiamento. Il cambiamento in questo ambito, sia chiaro, non è un’opzione ma una necessità intesa in senso ontologico del sistema-salute: senza, cessa di esistere come sistema rispondente alle richieste dei Cittadini, cui si rivolge.
Aggiornare il sistema delle competenze è in quest’ottica ineludibile ed improcrastinabile: la suddivisione di conoscenze, ambiti e competenze che andava bene anche solo una decina di anni fa non è più attuale e va, senza alcun dubbio, rivista. Cui sono i protagonisti del cambiamento? A chi chiedere di innovare il sistema per farlo sopravvivere? Di fronte a questa necessità di cambiamento abbiamo assistito ad atteggiamenti diversi tra i professionisti della salute e anche all’interno delle stesse professioni. Purtroppo le sortite di una parte, che per fortuna pare minoritaria, della professione medica, successivamente all’approvazione del noto “comma 566” della Legge di stabilità 2015, non hanno pesato per posizionare la categoria dalla parte dei sostenitori del cambiamento.
Il Parlamento, a dir la verità, ha preso una posizione precisa, per riaggiornare, appunto, le competenze di tutti, medici compresi, anche alla ricerca di una maggiore sostenibilità del sistema basata sui concetti di appropriatezza e coerenza tra il livello di complessità della risposta e il livello di complessità della domanda. Posizione che richiede ora di essere confermata con atti chiari che mettano fine ad una contrapposizione tra parti che non è saggio far durare oltre. E la risposta dell’On. Gelli a questo ennesimo step dell’escalation di chi vorrebbe innescare la competizione tra le professioni è stata chiara e dimostra come, nonostante i tentativi di arrestare il processo, le idee del maggior partito di governo siano chiare: si va avanti.
Forse si è finalmente capito che non si può più aspettare: al centro del sistema sia davvero il Cittadino e non le categorie delle professioni. A queste l’onere di ridisegnare le proprie pratiche e le relazioni professionali, la strada è già tracciata.
Mauro Tavarnelli
Presidente Associazione Italiana Fisioterapisti
fonte: http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=26925&fr=n